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“Vallejo raccoglie in sé il dolore di tutti, il suo corpo si offre per ricevere concentrati su di sé la violenza e l’assurdo del mondo, da lui così intensamente sentiti e denunciati. Nel suo sogno cristiano-marxista, con la sua sbalorditiva capacità india di soffrire, forse lui sperava di assorbire tutto il male, portarselo dietro, dare inizio così alla nuova era. Si sa che morì chiedendo di essere portato in Spagna: nel delirio della febbre voleva combattere, aiutare i compagni, partecipare. Come lui disse di Pedro Rojas, il meraviglioso operaio che soleva scrivere col suo dito grande nell’aria: “viban los compañeros, Pedro Rojas”, noi possiamo dire di Vallejo che il suo cadavere era pieno di mondo.”

 

Da “César Vallejo:Un poeta pieno di dolore e di mondo”

Prefazione di Martha Canfield

 

Traduzioni di Milton Fernández

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Ecco oggi il mio saluto…

 

Ecco oggi il mio saluto, indosso il colletto e vivo,

superficiale nei passi insondabile di piante.

Così mi laureo uomo, o forse mi congedo

e da ogni mia ora germoglia una distanzA.

 

Volete altro? volentieri.

Politicamente, la mia parola

emette accuse contro il mio labbro inferiore

ed economicamente,

quando volto le spalle a Oriente,

distinguo le mie visite in dignità di morte.

 

Da compiuti codici regolari saluto

il milite ignoto,

il verso incalzato dall’inchiostro fatale

e il rettile che Equidista quotidianamente

dalla sua vita e la sua morte

e fa finta di nulla.

 

Il tempo ha una paura millepiedi degli orologi.

 

(I lettori possono mettere il titolo che vogliono a questa poesia)

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